Negli ultimi giorni all’interno del dibattito indipendentista imperversa un’interessante discussione sul tema della bandiera della Lombardia. In particolare, su quale sia la migliore bandiera per la Lombardia come parte del territorio dello stato italiano che si appresterebbe a intraprendere un processo di autodeterminazione. Checché se ne dica, queste discussioni sono molto utili. Un dibattito su temi come questo non fa che aumentare la nostra consapevolezza e conoscenza dell’argomento, entrambe utili nel proseguo della nostra attività politica. In particolare, la discussione verte sulle due possibilità che ci si presentano: scegliere una bandiera più rispettosa del patrimonio storico e simbolico della Lombardia, oppure mantenere la rosa camuna, marchio ufficiale di Regione Lombardia, organo istituzionale di riferimento, attualmente, per l’indipendentismo lombardo. Senza voler protrarre una parvenza di imparzialità, espongo subito la mia tesi: la rosa camuna è un marchio inadatto a rappresentare la Lombardia, sia per quanto riguarda il processo indipendentista nascente, sia per quanto riguarda la vita della Lombardia come comunità indipendente. Nel presente articolo cercherò di argomentare questa mia posizione; come sempre, cercando di mettere ordine nelle mie personali elucubrazioni.
Partiamo da un presupposto: la diffusione di una bandiera riguarda il riconoscimento che una comunità le attribuisce. Non riguarda, dal mio punto di vista, la diffusione sul territorio data alla rosa camuna dall’esposizione negli edifici pubblici. Semplificando, il fatto che il marchio di Regione Lombardia si trovi fuori dalle scuole e dagli ospedali non comporta necessariamente un riconoscimento da parte della popolazione lombarda. Per sincerarsi di quest’ultimo bisognerebbe fare un’indagine demoscopica inedita, nel frattempo possiamo osservare l’utilizzo di tale simbolo in manifestazioni(meglio se non politiche) in Lombardia. Questo uso è praticamente nullo, fatta eccezione per un nuovo amore da parte di movimenti politici vicini all’attuale giunta regionale. Se si pensa che la Rosa Camuna sia più adatta come bandiera nazionale a causa della sua diffusione, forse bisognerebbe capire che una bandiera sventolata da un lombardo ha un valore intrinseco maggiore di un’asta attaccata fuori da un ufficio pubblico.
Per quanto riguarda le alternative alla Rosa, come la croce rossa in campo bianco o il biscione visconteo, il rischio maggiormente paventato riguarda una connotazione troppo politica attribuita a tale simbologia; questo tenderebbe a politicizzare la battaglia indipendentista. Dal mio punto di vista il rischio è molto meno marcato di quanto paventato, dal momento che la croce rossa in campo bianco fa già parte della simbologia identitaria di numerosi comuni lombardi, ad esempio della capitale Milano, e non viene percepita come un drappo politico. Mi permetto di osservare, che se la croce rossa è considerata come un simbolo politico, così anche la Rosa Camuna rappresenta un organo istituzionale fortemente caratterizzato politicamente, cosa che potrebbe limitarne la diffusione, del resto attualmente assente. A conferma di ciò, basta rifarsi al crollo di legittimazione popolare degli enti locali, e di conseguenza di Regione Lombardia. Se decidi di basare la tua simbologia nazionale su un marchio di un’istituzione fortemente delegittimata, rischi di vedere delegittimato un simbolo che formalmente dovrebbe rappresentare tutti i lombardi, ma che può essere percepito come un marchio commerciale di una classe politica invisa alla popolazione.
In ultimo, spesso e volentieri si sente dire che la bandiera è una questione marginale, e che pur di essere uno stato andrebbe bene qualunque simbolo nazionale. Non sono d’accordo con questa visione, ma in ogni caso, se assumiamo un punto di vista pragmatico alla questione del nostro vessillo, perché dovremmo scegliere una bandiera senza alcuna legittimazione storica, senza alcuna diffusione tra la popolazione, e con l’unico vantaggio di essere collegata ad un’istituzione percepita come lontana dai cittadini? Onestamente mi sfugge.
Come spesso accade, la questione in esame è diventata un viatico per discussioni più teoriche sullo stato dell’indipendentismo in Lombardia, sulle diverse strategie dei movimenti politici e su quale sia la via migliore per ottenere l’indipendenza.
Mi permetto di segnalare il tentativo di tacciare i sostenitori di una bandiera storica come nazionalisti e spinti anche da riflessioni di tipo etnico. Insomma, chi pensa che sia giusto tenere conto del patrimonio simbolico e culturale della Lombardia sarebbe un etnonazionalista. Non ho paura di descrivere quest’atteggiamento come disonestà intellettuale, dal momento che mi rifiuto di pensare che chi si occupa di questi argomenti usi termini così pesanti senza conoscerne il significato.
Credo sinceramente che la base per un processo di autodeterminazione che porti all’indipendenza della Lombardia sia la considerazione condivisa dalla maggior parte dei lombardi di essere tali; di essere lombardi in una comunità lombarda. L’etnonazionalismo è un abominio e il più serio ostacolo concettuale per l’indipendenza della Lombardia. Vedere l’utilizzo di una simile corrente di pensiero per simili artifizi retorici mi disarma. Probabilmente la troppa vicinanza con partito neo-nazionalista italiano provoca errori di valutazione.
Una bandiera storica non potrebbe dunque rappresentare i lombardi desiderosi di autodeterminarsi, essendo, in modo del tutto inspiegabile, intrinsecamente incompatibile con una visione progressista ed inclusiva della Lombardia e dell’indipendentismo lombardo. Ovviamente tale affermazione è un assioma, senza bisogno di essere spiegato, ma soprattutto senza spiegazioni. Resta da capire dunque se un rispetto del proprio patrimonio culturale costituisca un ostacolo all’integrazione di individui di diversa estrazione all’interno del processo indipendentista. Osservando quanto avvenuto in Catalunya, dove una popolazione in maggioranza non di origine catalana difende l’identità catalana, e la considera come parte fondamentale del processo indipendentista, mi sento di dire che no, tale ostacolo non sussiste. Una riscoperta del nostro patrimonio culturale ed identitario potrebbe anzi favorire l’integrazione di quella parte di popolazione lombarda con origini non autoctone, ricreando un senso di comunità di cui anche loro potrebbero sentirsi parte.
L’associazione tra identità, mancanza di integrazione e chiusura verso il prossimo è un mito da sfatare. Il caso catalano dimostra che una società fortemente legata alla propria cultura e al proprio senso di comunità può perfettamente essere inclusiva. Perché quanto vale per la Catalunya non dovrebbe valere per noi lombardi? Perché solo e soltanto il nostro patrimonio simbolico e la nostra cultura dovrebbe essere considerata come una minaccia per un percorso di autodeterminazione all’insegna del progressismo?